La tenebra azzurra di Arpino

dicembre 3, 2007

Era nato nel ’27. E’ morto nell’87. Sessant’anni divorati dalle sigarette. Giovanni Arpino ci manca da vent’anni e hanno pensato di ricordarlo con Azzurro tenebra, romanzo “sportivo” del ’77 dedicato alla penosa esperienza della Nazionale di Valcareggi, di Riva e Chinaglia, di Rivera e Mazzola che detti così sembrano coppie di gemelli e invece erano calcisticamente divorziati l’uno dall’altro. E per questo finì male, quella spedizione: fummo cacciati da Stoccarda in una mezza sera di giugno ad opera di una Polonia comunisticamente scalcinata e tuttavia abbastanza orgogliosa da rifiutare l’offerta italiana di versarle un mucchietto di milioni perché non vincesse. Volevamo soltanto non perdere, bastava per andare avanti, ma non ci riuscimmo, nonostante – da leggere d’un fiato – Zoff, Spinosi, Facchetti, Benetti, Morini, Burgnich, Wilson, Causio, Capello, Chinaglia, Boninsegna, Mazzola, Anastasi, i famigerati tredici “milionari” sospinti inutilmente contro la soldataglia di Kasymir Gorsky. La resa fu firmata da un gol di Capello (Fabio segna soltanto per la storia, illustre o meschina, come il 14 novembre dell’anno prima, quando a Wembley aveva sconfitto per la prima volta la perfida Inghilterra a casa sua) dopo le segnature di Szarmach il Secco e Deyna il Moro. Alle 17.45 del 23 giugno gli “italiani di cermania” si raccolsero incazzati sotto la tribuna stampa per insultare l’Italia sconfitta e noi che ne narravamo le imprese. Noi. Ricordo che scelsero Brera, il giornalista famoso, come capro espiatorio, e Giovanni continuò imperturbabile a picchiare sui tasti dell’Olivetti mentre lo insultavano: tutto quel chiasso non degnò di un guardo, strinse solo più forte la pipa fra i denti. Era il suo popolo – il nostro popolo – che ci mandava affanculo. Leggi il seguito di questo post »


Roma come la banlieue. Scooter in fiamme davanti alla sede di Azione Giovani

novembre 27, 2007

Uno crede che Parigi sia tanto distante e poi si trova scampoli transalpini sotto casa. Ma mentre nella capitale parigina i piromani hanno una – seppur opinabile e ingiustificabile – motivazione qui siamo di fronte a un atto di puro e semplice vandalismo gratuito.

Ore 20.30 davanti a un piatto di cavatielli al pesto fumanti (scusate la join venture di sapori liguro-campani) suona il campanello. La vicina informa gentilmente che uno scooter sta andando a fuoco sotto casa. Tempo un nanosecondo per passare dalle ciabatte alle scarpe e per uscire di casa munito di casco e chiavi con un solo pensiero nella testa: “vuoi vedere che il superenalotto non lo vinco, ma lo scooter me lo bruciano? Eppure le probabilità non sono molto differenti”. E penso anche che ho fatto bene a fare l’assicurazione furto e incendio.

Per fortuna lo scooter non era il mio, e per fortuna che si trovava isolato vicino al cassonetto. Dalla foto non si vede (qui la gallery completa documentata col cellulare) ma dall’altra parte una dozzina di scooter sarebbero stati carburante ben più corposo per un perfetto falò urbano. Arrivo tempestivo dei vigili urbani, spostamento delle vetture vicine (una smart con un nuovo posteriore brullè) e null’altro che i commenti dei passanti basiti, dal vecchio con le mani incrociate dietro alla schiena, alla sciura, pardon sora visto che siamo nella capitale (le origini quasi meneghine mi tradiscono sempre) con cane al guinzaglio.

Le cause? Ignote ovviamente.

Combustione spontanea? Truffa assicurativa per incassare il premio? Atto vandalico gratuito? O forse appiccamento doloso contro la sede del Circolo di Azione Giovani – Appio Tuscolano.

Ai posteri l’ardua sentenza, intanto la mia pasta di ieri sera me la sono mangiata fredda.


Un Natale diverso all’insegna dell’altruismo

novembre 26, 2007

Città già affollate per le spese natalizie. Negozi illuminati e autovetture in ogni dove. Ma in questo fine settimana pre-natalizio, c’è un piccolo grande gesto alla portata di tutti noi, che può migliorare la vita della gente più sfortunata. Che non sono certo pochi, anzi secondo gli ultimi dati dell’Istat (ottobre 2007) i poveri sono quasi il 13 per cento della popolazione italiana. Insomma sabato 24 novembre, abbiamo tutti avuto la possibilità di fare un gesto che una volta tanto è andato incontro alle esigenze di coloro che si trovano nell’indigenza. Si è svolta infatti in tutta Italia la Giornata nazionale della colletta alimentare. L’anno scorso gli italiani hanno offerto migliaia di tonnellate di cibo per un valore economico superiore a 26 milioni di euro, l’obiettivo degli organizzatori è di battere nel 2007 questa cifra record. Il Banco Alimentare è l’associazione Onlus, cioè senza scopo di lucro, che da 11 anni organizza questo semplice gesto di carità e di solidarietà. In Europa, questo evento nasce nel 1987 in Francia, per poi propagarsi ulteriormente negli altri Paesi europei dove esiste il Banco Alimentare. In Italia questa esperienza inizia nel 1997 con un primo risultato di 1.600 tonnellate, per arrivare dopo 10 anni a 8.422 tonnellate di alimenti raccolti. Il giorno è, ogni anno, l’ultimo sabato di novembre, essendo questa la scadenza abituale concordata con la Fédération Européenne des Banques Alimentaires. La mia personale esperienza è che donare liberamente a chi ne ha più bisogno non è solo utile ai destinatari ma anche a chi lo fa. Volendo, e per i ragazzi può essere davvero un sabato pomeriggio diverso, ci si può unire per qualche ora ai volontari e dare una mano ancora più grossa all’impresa. Sito per avere ulteriori informazioni: www.bancoalimentare.org.


A Catanzaro è tutto un magna Magna (Grecia)

novembre 21, 2007

Se la maxi truffa dei buoni pasto venisse confermata, l’ateneo di Catanzaro diventerebbe preda di facili ironie. All’università calabrese, più nota come Magna Grecia, pare che fossero in molti a apprezzare i piaceri di una tavola apparecchiata. Fra le specialità della casa, la falsificazioneI di libretti universitari da parte del funzionario Francesco Marcello. I carabinieri lo hanno arrestato con l’accusa di corruzione e falso ideologico e materiale, ma i veri piatti forti, alla Magna Grecia, venivano serviti a mensa. Ottimi ma troppo generosi, visto il numero di studenti che nei fatti sedeva a tavola. Almeno secondo la Guardia di finanza e la Procura, che accusano alcuni ristoratori convenzionati con l’università di aver intascato quattro milioni di euro gonfiando a dismisura il numero dei buoni pasto, e i relativi rimborsi. Le pagine dell’ inchiesta – che ha visto arrivare a trenta il numero di studenti indagati – illustrano il bluff in maniera molto nitida. Con la complicità di alcuni ragazzi, o all’insaputa di altri, i ristoratori mutuati con l’Ardis (Agenzia per il diritto allo studio), erano in possesso di centinaia di badge elettronici. Ogni giorno, ciascun tesserino veniva fatto transitare sugli appositi lettori elettronici collegati al database dell’Ardis. E così, per ogni obliterazione, il paziente ristoratore, si assicurava conteggio e rimborso di un pasto mai servito. Ad insospettire gli inquirenti dell’operazione Fast Food, sarebbero stati i filmati delle telecamere a circuito chiuso. A ricompensa del badge elettronico, pare che i ristoratori offrissero agli studenti ricariche telefoniche, cene con gli amici e piccole somme di denaro. Aventi diritto al pasto gratuito, molti giovani trovavano il modo di riempirsi la pancia, restando a digiuno.


Geppo e gli ultrà perduti

novembre 19, 2007

Italo CucciTrent’anni fa ho fatto amicizia con gli Ultrà. Dirigevo il Guerin Sportivo e cominciai a interessarmi alla loro attività, ai colori, alle bandiere, alla passione organizzata. I vari gruppi sorgenti in tutta Italia ci mandavano scritti e immagini. Erano ragazzi entusiasti e perbene (nei limiti del possibile) che avevano tanti interessi – studio, lavoro, letture, musica, soprattutto musica – da portare nel gruppo. Strinsi rapporti speciali con quelli che si diceva fossero i più scatenati, i mitici Cucs (Commando Ultrà Curva Sud) tifosi della Roma. Ne ho ritrovati molti – da vent’anni vivo nella Capitale – diventati professionisti e padri di famiglia, tutti con la nostalgia di quei tempi eroici. Dire oggi “bravi ragazzi” darà fastidio a qualche benpensante. Ebbene, in questi giorni di lutto per la morte di Gabriele Sandri – tifoso laziale, ottimo ragazzo – infuriando la polemica sugli ultrà sono andato a cercare in internet tracce di quei tempi perduti e ho trovato una lettera che mi fu spedita nel gennaio del ‘78 da uno dei Cucs, si firmò Giuseppe Pucci: «Egregio direttore, sono un tifoso romanista appartenente al Commando Ultrà Curva Sud, quel cospicuo gruppo di ragazzi (4000 circa) che forma la cosiddetta “zona calda” dello stadio Olimpico (farete un articolo su di noi, come già avete fatto per altri gruppi di tifosi?) e vorrei informarla che il tifo giallorosso si sta civilizzando: cioè, messa da parte la violenza, si pensa solo a rendere più bello e folcloristico il tifo. Fatti come quelli di Roma-Juventus del ‘76 non accadranno più, basta pensare a Roma-Milan di quest’anno (1-2, rigore negato e gol rossonero in fuorigioco): che cosa sarebbe successo due o tre anni fa in questo frangente? Ora noi abbiamo deciso di eliminare la violenza proprio perché questa non ci conviene. Ci avete fatto felici pubblicando due nostre foto, nessuna però riguardava il derby d’andata: eppure ce la meritavamo perché tutta la curva era metà gialla e metà rossa grazie all’effetto di 150 fumoni e di 3000 palloncini giallorossi che salivano al cielo con tanto di sciarpe. Un articolo su di noi potrebbe far vedere ai tifosi ultrà di tutta Italia che il tifo è bello anche senza violenza». Direte ch’era passato De Amicis, da quelle parti, che forse era tutta una finzione, che c’ero cascato. Eppure – gente di poca fede – questi sono i reperti di una passione tramandata di padre in figlio, da fratello a fratello, i cui contenuti valgono (varrebbero) ancor oggi se non fossero stati spazzati via da un temporale che non ha cambiato solo gli ultrà ma il nostro povero Paese. Leggete: «Cerchiamo di insegnare ai ragazzi che in trasferta non si va come zingari, rubare all’autogrill vuol dire disonorare il nome di Roma (una delle canzoni più belle dice onoreremo la città), essere diffidati x avere rotto un treno (invece di un naso) vuol dire essere dei coglioni». «La politica, i partiti, le ideologie…..sono tutte cose che non fanno che creare divisioni in curva e allo stadio…Ma che cacchio c’entrano con la Magica?». «Allo stadio si va per cantare, cantare, e ancora cantare per la Roma…Il resto che centra?». «Roma, solo Roma, Roma e basta» si legge nella Nord…. Eppoi ci lamentiamo che la curva non è più quella di una volta….Io ci manco da un bel po’… proprio perchè sono stufo di saluti di destra e di sinistra,bracci alzati, svastiche, croci, cori di guerra, falci e martelli…siano di destra o di sinistra…Non me ne può fregàdimeno…Possibile che uno non se ne renda conto che sono questi i mali della Sud?????». Eppoi, i comandamenti, che forse ho suggerito, che comunque ho condiviso ritrovandoli in quello striscione che diceva:

  1. “Siamo contro il calcio moderno”. Campagna acquisti da effettuarsi solo in estate e divieto di trasferimenti durante il campionato; al massimo, mercato di riparazione ad ottobre.
  2. libertà di correre sotto la curva per festeggiare i gol senza essere ammoniti o sanzionati in alcun modo: ormai non c’è più neanche la scusa della perdita di tempo, che si recupera;
  3. tutte le partite devono essere giocate nello stesso giorno e alla stessa ora;
  4. limitazione degli stranieri nelle squadre (io non ce li vorrei proprio) poichè tolgono spazio ai giovani;
  5. stop di un anno al calciatore che dopo aver firmato il contratto con una squadra vuole andarsene in anticipo perché un’altra squadra offre di più;
  6. impossibilità per il Presidente di una squadra di essere Presidente o azionista di maggioranza di più squadre di calcio;
  7. ripristino della vecchia Coppa dei Campioni: non è giusto che una squadra che non ha mai vinto uno scudetto possa vincere la Champions League…;
  8. numeri delle maglie da 1 a 11;
  9. divieto di esclusiva ad agenzie di viaggio per i biglietti delle partite in trasferta;
  10. le maglie siano quelle della tradizione e non cambiate ogni anno per questioni di mercato o quantomeno che i colori delle seconde maglie abbiano solo i colori sociali;

Gli ultras dovrebbero:

  1. rifiutare ogni rapporto od aiuto dalle società di calcio;
  2. rifiutare ogni “aiuto” dalle forze dell’ordine, il cui compito è controllare e non aiutare;
  3. avere nelle proprie curve meno gruppi possibile;
  4. andare in trasferta con mezzi propri;
  5. violare ogni limitazione che dovesse essere posta: del tipo che se mi vieti di andare in trasferta, non inviandomi biglietti o cose del genere, in trasferta ci vado lo stesso, mi compro il biglietto lì e mi metto in mezzo al pubblico avverso, come negli anni ‘80.

Dedico questo pezzo agli Ultrà perduti, e a uno in particolare, Geppo, punta di diamante di quei lontani Cucs. Geppo mi scrisse per mesi al Guerino – e io gli rispondevo – segnalandomi le sempre più dure realtà della curva, e della vita: erano arrivati i ladri di catenine d’oro, i profittatori, gli spacciatori. Il dossier con Geppo mi valse un premio da una giuria internazionale presieduta dalla Principessa di Monaco. Sì, Grace Kelly. Lo dedicai al mio sconosciuto interlocutore quando mi dissero ch’era morto di overdose. Gli spacciatori avevano vinto. Lo ritrovo – Geppo – sui tanti cippi disseminati lungo la via Flaminia – la strada di casa – con un nome, una sciarpa giallorossa e un mazzetto di fiori secchi. Questa è Roma. Questa è Roma.


Caro giudice, lasci stare la Madonna

novembre 15, 2007

casa.jpgA volte la giustizia ci dà delle soddisfazioni. È capitato ieri con la sentenza con cui il gip di Bologna, Bruno Perla, ha archiviato il procedimento penale contro la contestata mostra “La Madonna piange sperma”. Perla ha spiegato che gli articoli previsti dal codice penale «si applicano se l’offesa è indirizzata nei confronti di cose che formano oggetto di culto o sono consacrate al culto, mentre non si applicano se l’offesa è diretta a una entità, come è in questo caso la Madonna». Per di più la Madonna non è Dio, dunque non si tratta neanche di bestemmia. Ragionamenti paradossali, che avranno certamente dignità giuridica, ma che contrastano col buon senso. È evidente che per i credenti (non solo cattolici, ma anche musulmani fra l’altro) la Madonna va rispettata, è oggetto di culto, di venerazione, di preghiera. Che poi si ritenga inutile procedere per vilipendio contro gli organizzatori è un altro discorso, visto che dopo le critiche della Curia e dello stesso sindaco Cofferati, la performance annunciata fu annullata e nulla fu davvero mostrato al pubblico. Ma lo spettacolo della disquisizione sull’entità non va sottovalutato. Non ci sarà stata offesa alla religione, ma così si rischia di fare un’offesa all’intelligenza degli italiani, che d’accordo non varrà tanto, ma pur in qualche conto andrà tenuta. Per carità, è vero, i reati di lesa maestà non sono mica simpatici. E tuttavia li abbiamo visti invocati e applicati anche recentemente nel caso del Presidente della Repubblica (Francesco Storace indagato con sollecitudine) e anche della magistratura. Queste sì sono entità sacre per il popolo italiano, entità quasi egiziane, vere divinità viventi dei nostri tempi. Mica come la povera Maria di Nazareth, adolescente ebrea senza arte, né parte… Invece il vilipendio al Capo dello Stato, all’onore delle toghe, al Csm, al Tricolore… Ma perché dobbiamo farci del male da soli? Perché nel nostro Paese è così difficile convivere tranquillamente, cittadini di uno Stato moderno senza essere statolatri o terroristi, iper statalisti o eversivi? Mancano troppo spesso l’equilibrio, il buon senso, il buon gusto, l’educazione. Accostare la Madonna allo sperma è uno sfregio bestemmiatorio. Lo è per chi crede e per chi non crede; per i cattolici e per gli atei. Anche se c’è chi è magari contento dell’insulto, della bestemmia, dello sfregio al simbolo di tanta devozione, sa benissimo di che si tratta. Allora, usiamo meno l’ipocrisia. Prendiamo di petto le questioni, senza ricorrere al metodo dell’Azzeccagarbugli.


Bortoluzzi, Liedholm e Biagi. Un saluto a 3 amici

novembre 14, 2007

Italo CucciUn conto è scrivere i coccodrilli, un conto perdere gli amici, i compagni di viaggio, i punti di riferimento del tuo mondo. L’esercizio di bella scrittura lascia posto al dolore e, perché no?, al timore. Un altro che se ne va, un altro ancora. Nel giro di poche ore, Roberto Bortoluzzi, Nils Liedholm e Enzo Biagi – tre signori degli anni Venti – hanno chiuso la loro storia lasciando unanimi rimpianti espressi in lacrime e parole. Tante parole. Per Biagi, una sorta di lutto nazionale. Per Lidas, il cordoglio di due città, Milano e Roma, portato in Europa dal Milan e dalla Roma nelle notti di Champions League ed esteso al popolo del calcio. Per Bortoluzzi, un addio con grande riservatezza, nello stile della sua esistenza. La magica voce di Tutto il calcio minuto per minuto, colonna sonora della domenicale messa pallonara per una trentina d’anni, era stata archiviata nel 1987 e non era stata identificata con un volto, come prima o poi era capitato a tutti, a Ciotti, a Ameri, ai passeggeri della stravagante corriera radiofonica. Però restava integro il ricordo dei suoi rapidi annunci, dei suoi interventi senza sbavature, degli ordini signorili ma secchi che impartiva dalla cabina di regìa agli annunciatori di drammi e trionfi fra i quali spiccava Ezio Luzzi, il primo urlatore della storia dei media oggi, compagno allegrone di Bassignano nella radiosatira Ho perso il trend. Per il pubblico era stato una guida sicura nell’intricata giungla dei gol, per il giornalista sportivo il garante della notizia che doveva esser certa, per il calcio il notaio che assicurava la regolarità del torneo. E’ tutto un fiorire di rievocazioni dei ruggenti anni Sessanta, ma prima, prima, che cosa vi siete persi. Ad esempio il calciatore Nils Liedholm, le cui ultime imprese – aveva ormai quarant’anni – Bortoluzzi fece cantare dai suoi ancor giovani menestrelli nella primissima stagione di Tutto il calcio. Io l’ho conosciuto bene, il Barone, e per un atto d’omaggio che si doveva alla sua civetteria, non gli ho mai detto che era uno dei miei idoli fin da ragazzino; mi sono proposto all’allenatore Liedholm come cronista/allievo e più tardi, affiancandolo in una trasmissione televisiva, l’ho praticamente raggiunto: è il gioco dell’età, il tempo che passa rende contemporanei se non coetanei, i vent’anni che ci separavano all’inizio della storia s’erano dissolti. Leggi il seguito di questo post »


Lo Stato sconfitto dalle bande ultrà

novembre 13, 2007

Caserme di polizia e carabineri cinte d’assedio a Roma, la sede Rai di corso Sempione a Milano circondata da centinaia di persone in assetto di guerra, decine di giornalisti e cineoperatori picchiati e minacciati, cortei non autorizzati, danni ingenti al patrimonio pubblico e privato in tutto il Paese. Che cosa è accaduto domenica scorsa in Italia? La risposta, al netto di ogni interpretazione sociologica e analisi politica, è purtroppo molto semplice: è accaduto che il contropotere ultras ha strappato allo Stato il monopolio della violenza, ha dettato le sue condizioni, ha imposto nelle strade e nelle piazze italiane la sua legge. Che dovevano fare, si obietterà, il ministero degli Interni e le forze dell’ordine? Ancora una risposta semplice: quello che sono chiamate a fare, garantire cioè il rispetto della legge e l’ordine pubblico. Certo, prima dell’insurrezione generale c’è stato l’omicidio di Gabriele Sandri, ucciso in circostanze ancora da chiarire dal colpo di pistola di un poliziotto. È quello il casus belli, la molla che ha scatenato i gruppi organizzati delle curve di tutta Italia. Usare la forza contro gli ultras, viene allora detto, sarebbe stato poco saggio, avrebbe determinato una serie di reazioni a catena dall’esito imprevedibile. Non ci si rende conto invece che il ministro degli Interni ha sbagliato due volte. La prima volta nella grottesca gestione politica e mediatica dell’omicidio del giovane romano, avvenuto alle nove del mattino e silenziato fino alle 12. Una morte intorno alla quale sono ancora troppi i misteri, le dinamiche non chiarite, le omissioni. La seconda volta lo Stato ha sbagliato tradendo il suo senso di colpa lasciando la piazza al caos, dando una dimostrazione di impotenza, consegnando di fatto le città a un contropotere la cui forza è la debolezza di istituzioni sempre più divise e frastornate. Erano surreali domenica sera le dichiarazioni del ministro Giovanna Melandri che ripeteva «tutto questo non ha niente a che fare con i valori dello sport» promettendo placebo come il divieto delle trasferte per il tifo violento. Nessun esponente del governo, tanto meno il ministro Giuliano Amato, è riuscito ad andare oltre queste banalità di circostanza, mentre le bande costringevano i cittadini alla paura e lo Stato nei palazzi e nelle caserme.


Non resta che vedere la partita in tv

novembre 13, 2007

Italo CucciOddio, la Società Malata che partorisce il Calcio Malato. E’ successo, tanto tempo fa: andavo orgoglioso d’essere privilegiato cittadino dell’Isola Felice. Beniamino Placido negli anni Ottanta ci (mi) rimproverava sostenendo che il calcio – come le Olimpiadi – doveva risultare una pausa di serenità in un Paese sconvolto dalla violenza. Noi ci proviamo, dicevo, difendendo la corporazione pallonara: lo Stato ci passava le sue scorie avvelenate, il modello contestatore faceva adepti fra le teste più calde, il movimento ultrà era soprattutto colore e passione. Poi, all’improvviso, fu delinquenza. E il calcio cambiò senza mai pensare alla bruciatissima gioventù che coltivava, agli stadi polveriere, ai nemici dei poliziotti nel frattempo benedetti da Pier Paolo Pasolini. E il calcio cambiò, dedicandosi anima e corpo allo showbitz, pagando il pizzo ai caporioni delle curve, perdendo prima l’anima eppoi la reputazione, la pace, la sua natura essenziale di svago scacciapensieri,di messa laica e via dicendo. Fu il momento della speculazione sociologica, delle tavole rotonde, dei summit al ministero degli Interni. Fu ancora – dopo l’omicidio di Vincenzo Paparelli – l’ora dei morti da stadio e da antistadio. Domenica, semplicemente, da calcio, con la terribile fatalità di quello sparo che uccide un ragazzo e lancia l’allarme per la guerrigilia urbana contro la polizia e i carabinieri, vero obiettivo dell’odio rinfocolato dalla sacrosanta repressione seguita all’omicidio Raciti. Così il calcio ha perduto la sua indipendenza, tutto preso a discutere la spartizione della torta televisiva: già l’osservatorio del Viminale, prefetti e questori ne gestivano il palinsesto, oggi si consegna nelle mani del governo, del Palazzo odiato e deriso quando – nel marasma generale – capitava nell’Ottantadue e nel Duemilasei– si vincevano i Mondiali. Spadolini, Pertini, Prodi, Napolitano hanno avuto le occasioni più belle per ammantarsi di tricolore, altro che Moggi. Ma è tornata la morte e le regole d’ora in poi le detterà quella società che dicevamo maligna. Era un’idea di Berlusconi il Giovane, vent’anni fa: io a San Siro offro il Milan a miei abbonati, agli altri, in Italia, glielo faccio veder al cinema. E’ arrivata la paytivù, il problma è risolto: i comodisti guardano, imprecano, gioiscono e giudicano seduti in poltrona. Olè, un bel wiskaccio.


Basic instinct

novembre 9, 2007

tubo_lil.jpgOra sono proprio sicuro: Walter Veltroni non lo ferma nessuno, sarà presidente di tutto. Sapete da dove nasce la mia certezza? Dall’appoggio incondizionato che gli ha offerto Afef Jnifen, moglie di Tronchetti Provera. L’affascinante signora, in una colonna de La Stampa, ha scritto che Walter «ha un modo di parlare molto bello, chiaro, deciso, smentendo chi lo critica di non prendere posizione in modo netto». Fin qui il tifo. Ma ha aggiunto che il neo leader del Pd ha il caldo sostegno di Sharon Stone. L’attrice di Basic Instinct – esperta di sentimenti e pulsioni – dopo aver pranzato in Campidoglio con l’uomo dell’avvenire ha dichiarato: «I love him». Con questa sensualissima spinta, chi lo ferma più? Veltroni dovrebbe semmai temere la satira (?) dell’inserto dell’Unità. Titolo in alto: «Via da questa Italia di merda». E sotto: «Seguendo Veltroni, tutti in Africa». (P.M.F.)