Ho voglia di te visto da un genitore celebre. Casa Banfi

marzo 21, 2007

Partita già qualche settimana su L’Indipendente cartaceo, la rubrica di Alessandro Banfi, vicedirettore del tg5 , sbarca sul blog. Ecco cosa ne pensa di “Ho voglia di te”.

Ebbene sì il ciclone Moccia ha toccato anche casa Banfi. Non poteva essere diversamente, visto che la mia seconda figlia ha quasi 13 anni e sta per finire la seconda media. Siamo finiti in pieno target. E io personalmente sono finito in coda in mezzo agli adolescenti al botteghino del cinema, due sabati fa, ore 14 e 30, all’apertura delle casse. Ci sono tre compagni di classe di mia figlia che devono ancora restituire i soldi anticipati. Cose che capitano. Gli altri fratelli, due più grandi e uno più piccolo, ironizzano parecchio sui libri di Moccia e sulle frasette in “moccese” che proliferano nel mondo delle scuole medie e a casa nostra. Si legge sui muri delle loro scuole: “La nostra storia è troppo grande per finire…” eccetera eccetera. Il mondo sentimentale degli adolescenti è fragile e incerto, e trova nel linguaggio e nei modi stereotipati imposti dal fenomeno dei libri dello scrittore romano un riferimento sicuro. E quindi nessuno si mette i pantaloni, ma i 501 della Levis, nessuno più si chiama con il suo nome intero ma con delle abbreviazioni che a noi suonano buffe e a volte patetiche. Bibi, Ecca, Dili… ma che cos’è una formazione straniera?
E poi parlano tanto di amore eterno, mettono i lucchetti a Ponte Milvio come il loro idolo Scamarcio, ma le loro storie sentimentali sono volubili e un po’ goffe, com’è giusto che sia a questa età. Ma allo stesso tempo sono complicate dal sesso subito, che la nostra società inculca fin dalla più tenera età e da una seria mancanza di punti di riferimento, a cominciare dai genitori. Non ci sono criteri di fondo, non si coltiva la sana inquietudine giovanile basata sulle domande eterne e vere per tutti, da Platone ad oggi, del tipo “Chi sono io?”. L’adolescenza diventa una fascia consumistica, battuta con intensità dalla televisione (che poi viene regolarmente snobbata dopo i 16 anni), da Internet, dai telefonini, dalla moda.
Moccia è una specie di padre adottivo per questa generazione. Che supplisce alla mancanza di rapporto con gli adulti, in gran parte assenti perché distratti, lontani, impegnati in mille altre cose. Li fa leggere e questo è importante perché di solito a questa età pochi leggono. Ma che cosa li fa leggere? Che modello propone? Una vita piatta, superficiale, sentimentale, fatta di marchi di moda e di nomi abbreviati. Di immagine e di apparenza. A volte mi viene da ringraziare il vecchio buon Disney ché almeno in Disney Channel e nei suoi film ci sono dei sentimenti autentici, dei buoni propositi, qualche valore. Droga, fumo e sesso non sono una figata da grandi. Nel nuovo cinema italiano di successo fra gli adolescenti, non c’è neanche questo. E’ bene che i genitori lo sappiano prima di sborsare i 7 euro e 50 per il cinema il sabato pomeriggio, pop corn esclusi. Alessandro Banfi

Hai domande, dubbi, curiosità, commenti? Scrivi a Casa Banfi . Il giornalista risponderà qui sul blog


Videogames sul banco. Di Scuola

marzo 19, 2007

Per una volta il banco del quale si parla non è quello degli indagati in qualche tribunale raffazzonato all’ultimo momento per eseguire, magari, una sentenza sommaria (che corre sul filo della disinformazione), ma finalmente un banco che regala maggiore dignità al medium ludico. Dall’ America arriva uno studio condotto da Sasha Barab, professore dell’università dell’Indiana, che tende a mettere in luce la valenza educativa del videogioco. Ma soprattutto l’inadeguatezza dell’attuale metodo di insegnamento rispetto alla vita odierna:

“I believe in digital media literacy. If we don’t make changes in the way we educate our children, they will be left behind in world markets. Right now, I’m not that optimistic about where schools are headed.”

Intanto Katie Salen (autrice di Rules of play che vi consiglio di leggere se vi appassiona la materia) aprirà una scuola in cui i VG saranno parte integrante del curriculum di studi:

“There’s a lot of moral panic about addiction to games. There’s a negative public perception, and we know we have to deal with that. But teachers have been using games for years and years. We’re looking at how games work and we want to think about ways to redeliver information. It’s quite unknown territory.”

Ricordiamo che ci sono studi che hanno provato a correlare l’utilizzo di videogiochi con l’aumentare dell’attention deficit disorder (ADD), ma non è mai stata dimostrata una effettiva relazione causa-effetto.
Per dare un’occhiata alla faccia “buona” dei games provate con Global Conflict o con Food Force. Altro che seppellire bambine vive.