Togliersi la vita a undici anni non ha senso, ma non scordiamoci mai di volergli bene

ottobre 26, 2007

casa.jpgTogliersi la vita non ha mai senso. Nemmeno da anziani. Ma farlo ad undici anni è davvero una folle ingiustizia. Qualcosa che ci fa star male come un imprevisto, violento, colpo accidentale. Che ci arriva dritto allo stomaco. La storia del ragazzo di Campiglia dei Berici, in provincia di Vicenza, è straziante. Non perché si possa credere fino in fondo alla prima versione: si impicca perché a scuola gli dicono che ha le orecchie a sventola. E neanche perché le altre possibili ipotesi formulate dai carabinieri (autolesionismo o disgrazia a causa di un gioco finito in tragedia) ci convincano. Ma per il fatto in sé, qualsiasi sia poi stata davvero la causa, causa che fatalmente risulterà sempre inadeguata rispetto ad un gesto per sua natura inspiegabile e non motivato. Undici anni è un’età difficile, molto più di quanto si possa credere. E’ finita l’infanzia e non ci sono ancora le sicurezze e i contrappesi della vita adolescenziale. E avere tre fratelli, vivere in una famiglia numerosa, non è poi sempre un vantaggio, anche questo può diventare un peso, nell’incertezza, nel non sapere che cosa si vuole, tipico di quella fase della vita. Vorremmo tornare indietro come in quei film di fantascienza e farci due risate di quell’improvvisa disgraziata impuntatura, paura, angoscia. Farcene due risate con lui, spiegandogli che gli vogliamo bene. Davvero. Tante volte i nostri ragazzi, anche attraverso comportamenti molto più equilibrati, gridano un disagio, una voglia di essere voluti bene, dimostrano una mancanza d’affetto radicale. E nessuno può considerarsi al riparo di eventi tragici di questo tipo. Quindi non giudichiamo la famiglia di Campiglia che ha già tanta sofferenza da scontare. L’uomo di oggi è stroncato dalla colpa, dalla coscienza che non esiste nessun perdono possibile. E’ un uomo senza senso della Grazia e quindi infelice. Un grandissimo scrittore italiano, Primo Levi, anche lui morto suicida a causa di una forma di depressione non curata, scrive ne I sommersi e i salvati: «Non conosco atto umano che possa cancellare la colpa». La speranza è che non sia così per i genitori dell’undicenne che si è impiccato. Che abbiano la fortuna di un perdono gratuito, che non cancelli ma attenui il dolore.