Perchè Visco deve dimettersi

giugno 5, 2007

GiornaleEra chiaro che il compromesso, rimozione del generale Roberto Speciale e rinuncia alle deleghe sulla Guardia di Finanza da parte del ministro Vincenzo Visco, non poteva reggere alla prova dei fatti. Il generale non ha perso tempo e giustamente, dal suo punto di vista, ha rinunciato alla nomina presso la Corte dei Conti. D’altra parte, se il governo ha dei sospetti sul comportamento di una delle più alte cariche degli apparati dello Stato, perché non ne ha chiesto un procedimento disciplinare e ha dirottato Speciale alla Corte dei Conti, considerandola un luogo di espiazione? Una forzatura istituzionale per provare a chiudere la partita con un pareggio che il generale non ha accettato, ed è probabile che a questo primo passo segua un successivo ricorso al Tar (che da consigliere della Corte dei Conti, Speciale avrebbe avuto qualche imbarazzo a presentare). Allo stesso modo, il ritiro delle deleghe a Visco rappresenta una palese contraddizione. Delle due l’una: o il viceministro, come ha affermato Romano Prodi, «non ha commesso alcuna forzatura» e allora andava difeso fino in fondo; oppure ha sbagliato, e allora doveva lasciare il governo. Una via di mezzo non esiste, e quindi non può reggere. Quello che sta venendo fuori da questo brutto pasticcio, piuttosto, è un dato politico, come ha ricordato ieri il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Visco non si fidava degli assetti ai vertici della Guardia di Finanza in Lombardia, li considerava troppo contigui con il precedente governo ( e in particolare con l’ex ministro Giulio Tremonti) e ha provato a cambiare gli uomini nel modo più rozzo. Scatenando una guerra di potere, tra gruppi e clan militari, all’interno della Guardia di Finanza. Una decisione, abbinata alle sue preoccupazioni, della quale non può non avere informato il capo del governo: e forse da questo dettaglio si capisce meglio la prudenza di Prodi. Ancora una volta l’establishment del centrosinistra mostra tutta la sua spregiudicatezza nelle operazioni ai piani alti del potere: perché se Visco avesse deciso di sostituire alla luce del sole, secondo le sue prerogative di viceministro con le deleghe alla Guardia di Finanza, alcuni vertici del personale militare, nessuno poteva avanzare obiezioni. Ci sarebbero state proteste, qualche interrogazione parlamentare: ma tutto sarebbe finito nello spazio di un mattino. L’agire nell’ombra, dosando come in una battaglia navale, le mosse all’interno della Guardia di Finanza e tra i vari gruppi che ne compongono il vertice, ha rappresentato un comportamento ambiguo, pericoloso, estraneo ai diritti di un governo. Ecco perché oggi a Visco resta da fare una sola cosa: dimettersi. Prima che siano i fatti a travolgerlo.

Aggiungiamo di seguito un pezzo riguardante la telefonata tra Romano Prodi e Tullio Lazzaro avvenuta il 2 giugno

Èstata una telefonata cordiale, ma anche molto tesa. Sabato scorso, al termine della parata militare per i festeggiamenti del 2 giugno, Romano Prodi ha parlato a lungo con Tullio Lazzaro, presidente della Corte dei Conti, a proposito della nomina del generale Roberto Speciale. Lazzaro si è dichiarato «perplesso e sorpreso» per una procedura piuttosto anomala: l’annuncio di una nomina, senza la necessaria richiesta di parere al Consiglio di presidenza della Corte dei Conti, che viene così declassata a «luogo di penitenza». Tra l’altro, il parere del Consiglio di presidenza è obbligatorio ma non vincolante e, negli ultimi venti anni, in un solo caso (la nomina del prefetto Raffaele Lauro) è risultato negativo. Prodi ha promesso l’invio della richiesta di parere, subito dopo l’accettazione del generale Speciale. Ma il “no, grazie” dell’ex comandante generale della Guardia di Finanza, ha chiuso un ennesimo caso di disagio istituzionale. E ha frenato il malumore ai vertici della Corte dei Conti.