Lo sport in Italia tra piccole felicità e grandi amarezze

Maggio 28, 2007

Italo CucciGattuso, Nesta, Oddo, Pirlo, Gilardino, Inzaghi, Inzaghi, Inzaghi, Inzaghi…Uscivano dallo Stadio Olimpico d’Atene – i ragazzi del Milan – coi fuochi della notte e ridevano, piangevano, o mostravano la grinta dei forti proprio come Baldini dopo quell’eroica Maratona vinta nell’ultima stagione olimpica e offerta agli occhi di miliardi di ammirati cittadini del mondo. Uscivano tenendo per le grandi orecchie la Coppa dei Campioni d’Europa e all’improvviso ecco un dejavu: Gattuso, Nesta, Oddo, Pirlo, Gilardino, Inzaghi e poi Buffon, Zaccardo, De Rossi, Grosso, Cannavaro, Barzagli, Del Piero, Toni, Totti, Peruzzi, Amelia, Iaquinta, Camoranesi, Barone, Zambrotta, Perrotta, Materazzi, tutti insieme a cantare ballare gridare piangere e ridere passandosi la Coppa del Mondo la notte del 9 luglio allo Stadio Olimpico di Berlino. Da una parte Carlo Ancelotti tuttotondo dalla trippetta al facciotto lambruscato esplodeva dagli occhi una gioia serena da lavoratore appagato che non tenterà mai l’approccio al Mago o al Divo; dall’altra Marcello Lippi versione vendicatore dell’onore nazionale, gioia luciferina e anche qualche lacrima per le mamme d’Italia che all’azzurro si sciolgono come alle canzoni di Gianni Morandi (volevo dire Beniamino Gigli, ugola olimpica, ma la sua voce divina appartiene alle nonne). Con due botte d’entusiasmo vi rammento che fra queste due parentesi il calcio italiano ha scritto la pagina più scandalosa della sua storia, ha vissuto una vergogna senza pari anche se so che c’è pronto qualcuno a dire no, non è successo niente, oppure no, tutto deve ancora succedere. Quando si dice che il calcio è metafora della vita (pensiero stupendo attribuito a Sartre o a Camus, visto che del pallone i francesi hanno inventato tutto – Coppa del Mondo Rimet, Coppa d’Europa Delaunay, Coppa dei Campioni, Pallone d’Oro – e vinto poco) si pensa alle vicende del Bel Paese, ovvero alle alternanze di vittorie e sconfitte, di scandali e conquiste, di vita agra e dolce: ma dov’è la vittoria se non nello sport, nel calcio ancor dippiù visto che le emozioni pallonare muovono moltitudini di teneri invasati? Che cosa vinciamo, altrove? Luna Rossa? Come dire che l’Italia veste Prada e invece ha le pezze al culo. Il made in Italy? Lanciato da Spagna ‘82 sta spegnendosi nei laboratori rumeni, cinesi, tailandesi e nel cattivo gusto degli stilisti da reality show? Ecco che uno dei lettori mi chiede: scusi, ma lei crede ancora a certe puttanate? Vuol sapere una cosa, caro lettore? Quando finì la guerra fra le macerie resistevano muri sbreccati imbrattati da scritte che dicevano «Vincere»; e io chiedevo a mio padre, modesto fascista che viveva sereno senza aspettare vittorie perché ne aveva già vissuta una, nel 18, finta anche quella: «Cosa abbiamo vinto, papà?». M’avrebbe dato uno scapaccione, ma era buono, gentile e mi rasserenava spesso raccontandomi favole, e così fece allora, dopo avere faticosamente cercato una risposta decente guardando quelle rovine intorno che rappresentavano la fine dei nostri sogni: «Abbiamo vinto i Mondiali del ‘34 e del ‘38». Avrei voluto sapere cosa fossero, quei Mondiali, forse altre guerre, quindi l’Italia era anche capace di vincerle, le guerre, ma lui non aveva niente da dirmi perché non gliene fregava niente del calcio. Forse per questo, forse per darmi le risposte che non avevo avuto, ho visto e vissuto e raccontato e racconto ancora tanto sport. La gente d’oggi sente ripetere tante storie, anzi, le vede sotto forma di fiction, ma non si rende conto – ad esempio – che quando morì il Grande Torino non morì una squadra di pochi ma una speranza di tutti. E quando nel ‘48 vinceva Bartali vinceva l’Italia dei poveracci. Volete altri mille esempi? Ma no: sono sicuro che,giovani o vecchi,tutti hanno negli occhi un traguardo conquistato, una medaglia d’oro mostrata con orgoglio, una Coppa levata al cielo, e nella memoria un Coppi, un Bartali, un Gimondi, un Pantani, uno Zeno Colò, un Tomba, un Mennea, un Nuvolari, un Ferrari, un Agostini, un Valentinorossi. E tanti pedatori illustri e meschini che, fusi nella Squadra , fanno la nostra ultima piccola felicità dopo le amarezze di Calciopoli.


Italiani: calciatori di palloni e cacciatori di poltrone

marzo 27, 2007

Italo CucciC’era una volta la politica sportiva. E aveva una funzione importantissima: teneva sotto controllo il Palazzo dello Sport. Non dove si svolgono gli eventi agonistici ma dove si decidono i destini di un apparato che dal 1913 non ha avuto bisogno di essere gestito dal Governo attraverso ministeri e ha invece goduto di una autonomia praticamente cessata nemmeno un anno fa, quando è stato costituito il Ministero delle attività giovanili e sportive affidato a Giovanna Melandri. Oggi siamo ad un passo dall’elezione del nuovo presidente della Federcalcio squassata dagli scandali, demolita da un ventennio di conservazione e di asservimento ai potentati dei club più ricchi, e già si sa chi sarà eletto ma non si conosce il suo programma. Che trattandosi di Giancarlo Abete (intervista qui), già copresidente di Franco Carraro , non può che essere di pura restaurazione. Non ce l’ho con Abete, anche se trovo di scarso gusto affidare la Federazione a chi già ne era parzialmente in possesso con il ruolo di staffettista. Ce l’ho con chi ha già organizzato e vinto i giochi della successione secondo la peggior metodologia della Prima Repubblica, in assenza di democrazia e di quella trasparenza che dopo i fattacci del 2006 doveva essere al primo punto di un programma nuovo, coraggioso, pulito. Democrazia non vuol dire soltanto mettere a conoscenza delle proprie idee – nel caso esistano – i vari settori del calcio. Democrazia significa comunicare anche al popolo degli sportivi che si vuol fare dello sport italiano. S’è fatto sentire poco, il mormorante Abete , e di quel poco restano tracce inquietanti:abbiamo letto, ad esempio, che ha richiesto, ascoltato e certo accolto anche i buoni consigli di Franco Carraro, al quale ho fatto ponti d’oro nell’ora della fuga purché non fosse restaurato il suo potere. Non dico quindi a lui di farsi da parte ma a Giancarlo Abete di far sapere il succo della propria augurabile autonomia. Avevo un candidato, alla presidenza federale, e proprio qui l’ho scritto, qui l’ho invocato: Luca Pancalli.
Leggi il seguito di questo post »