E se i nostri imprenditori lasciassero il Lussemburgo?

giugno 6, 2007

GiornaleNella storiaccia di Margherita Agnelli che passa alla cassa e chiede di spulciare, pezzo per pezzo, tutto il patrimonio del padre, l’abbiamo buttata in letteratura. Il fatto lo merita, ovviamente. Perché ogni volta che si parla di casa Agnelli, come dimostra l’ottimo e recente libro di Marco Ferrante, c’è sempre qualche nipote fregato, uno zio prepotente, e soldi che volano, elegantemente, come le farfalle. Qui però viene fuori, più che la letteratura, una fitta trama di scatole cinesi che dalla isole Cayman passano in Lussembrugo, si aprono e si chiudono come i barattoli di marmellata, con qualche gnomo locale nel ruolo del fattucchiere (a proposito: qualcuno ci spiega chi è mister Siegfried Maron?). E con un unico obiettivo: pagare meno tasse allo Stato italiano. Quello che vanta il triste primato dell’economia sommersa, quasi un trenta per cento, rispetto al prodotto interno lordo. E’ chiaro che la famiglia Agnelli non possiede l’esclusiva di questa ardita tecnica di elusione fiscale. Anzi. La prassi è talmente consolidata che una trentina di società, tra quelle quotate a piazza Affari, risultano fare capo a una controllante lussemburghese. Per la gioia di avvocati e notai del luogo che accumulano, con generose parcelle, il ruolo di fiduciari. In pratica, una parte pregiata del capitalismo italiano, come al solito siamo ai piani alti del sistema, è come barricata in Lussemburgo. E nessuno fiata. Bisogna sempre fare un giro nel Granducato, per esempio, per trovare le tracce dell’Opa su Telecom, oppure della spartizione tra i figli dell’impero Ligresti, e perfino delle casseforti di imprenditori manifatturieri puri, come l’ottimo Leonardo Del Vecchio. Quanto ai risparmiatori, pochi ricordano che le migliori truffe ai loro danni sono partite proprio dagli anonimi indirizzi nel Granducato. Ricordate il crack dei bond Cirio? E la truffa della famiglia Giacomelli? O una parte delle obbligazioni Parmalat? Bene: potete ritrovare tutte le polpette avvelenate ben cucinate in Lussemburgo. Quanto il vizietto del Granducato sia una forma di gestione aziendale al confine della legalità, è cosa tutta da dimostrare. Probabilmente non ci sono reati né civili né tantomeno penali. Resta il fatto che, con questa prassi, la credibilità dei nostri imprenditori precipita a valori vicini allo zero. Con quale coerenza, per esempio parlano di “trasparenza” come fa giustamente, e di continuo, il presidente di Confindustria, Luca di Montezemolo? E con quale autorevolezza possono presentare il conto agli sprechi della politica? Ci pensano loro, in Lussemburgo, a difendere gli interessi nazionali, il sistema Paese?